venerdì 2 marzo 2007

I FARMACI: UN DIRITTO DI TUTTI GLI UOMINI


Prendo spunto dal messaggio di Patti, riporto un articolo sulla questione dei farmaci essenziali.


14 milioni di persone nel mondo muoiono ogni anno perché non hanno accesso ai farmaci.
42 milioni sono i malati di AIDS nel mondo (29 milioni dei quali in Africa) destinati a diventare 200 milioni entro il 2.025. 11 milioni sono gli orfani per l’Aids in Africa.

Il caso AIDS è il più eclatante ma non certamente isolato. Nei Paesi del Sud del mondo, uomini, donne e bambini muoiono ogni giorno di malattie curabili come polmonite, diarrea, infezioni respiratorie solo perché non possono accedere alle cure mediche.
Nel 1999, Medici Senza Frontiere vince il Premio Nobel per la Pace e decide di investire questo denaro per una difficile battaglia: quella che rivendica il diritto di uomo - senza distinzione di sesso, età e razza - alla salvaguardia della propria salute, che significa, in ultima analisi, diritto alla vita stessa. Una lotta che vede contrapporsi gli interessi economici delle multinazionali farmaceutiche alla vita delle persone.
E’ così che nasce la Campagna per l’Accesso ai Farmaci Essenziali, che denuncia l’assenza dei farmaci come crimine contro l’umanità e rivendica il diritto dei più poveri ad avere accesso ai farmaci cosiddetti “salvavita”.

Al vertice di Doha nel 2001, i membri del WTO, l’Organizzazione Mondiale del Commercio, avevano adottato la “Dichiarazione sull’Accordo TRIPS e la salute pubblica” che, riconoscendo la gravità dei problemi relativi alla salute pubblica nei paesi in via di sviluppo, affermava inequivocabilmente la priorità della salute pubblica sugli interessi commerciali.
In essa veniva riconosciuto che l’Accordo sui TRIPS, ovvero sugli aspetti dei diritti della proprietà intellettuale relativi al commercio, avrebbe dovuto essere interpretati in modo da proteggere la salute pubblica e promuovere l’accesso ai farmaci per tutti. “Conveniamo che gli accordi TRIPS – si legge al punto 4 della Dichiarazione – non impediscono e non dovrebbero impedire ai Paesi membri di prendere le misure necessarie a proteggere la salute pubblica”.
La Dichiarazione stabiliva inoltre che i paesi più poveri – i cosiddetti least developed countries – che non dispongono neppure di un’industria farmaceutica interna, sarebbero stati esonerati dall’applicazione dei diritti relativi alla proprietà intellettuale fino al 20016, mentre i paesi “intermedi” ne sarebbero stati esclusi fino al 2006.
Alcuni di questi paesi intermedi – in particolare India, Brasile, Tailandia – possiedono infatti un’industria farmaceutica e hanno potuto copiare, in legalità, i farmaci dalla multinazionali, realizzando dei generici perfettamente identici a quelli sul mercato e assolutamente efficaci.
Nel 2000, prima che comparissero sul mercato le prime terapie a base di generici, il miglior prezzo a livello mondiale per la combinazione di farmaci brevettati era di 10.439 $ l’anno per paziente. Nel luglio del 2000 sono apparsi i primi generici che garantivano la terapia per 2.767 $ l’anno per paziente. Da quel momento i prezzi delle terapie a base di generici hanno continuato a scendere: oggi in alcuni dei Paesi poveri si riescono ad acquistare i farmaci “copiati” (made in India, Brasile o Tailandia) per 201 $ l’anno per paziente. Spinte dalla concorrenza dei generici anche le multinazionali hanno abbassato i prezzi (si parla sempre della migliore offerta fatta a Paesi poveri), ma tutt’oggi la miglior offerta per i farmaci di marca si aggira intorno ai mille dollari l’anno per paziente.
Ciò significa ovviamente poter curare un maggior numero possibile di malati e soprattutto coloro, i quali non possono disporre di assicurazioni o di un sistema sanitario che provvedano alle spese.
Ai paesi più poveri invece, non in grado di produrre generici, la Dichiarazione riconosceva il diritto di importarli ai prezzi più bassi, ovvero dai paesi intermedi produttori di generici a basso costo.
Ma è proprio su questi accordi che la questione si rivela in realtà complessa.
MSF accusa infatti USA, Unione Europea, Canada, Svizzera, Giappone di aver negoziato in modo da ridurre le capacità di accesso ai generici da Parte dei Paesi in via di sviluppo che non possiedono un’industria farmaceutica. Nonostante i buoni propositi di Doha infatti, ad ostacolare il libero commercio di farmaci salvavita tra questi paesi, ci sono le limitazioni sulle importazioni e le esportazioni.
La questione dei farmaci essenziali è tornata sul tavolo delle discussioni alla vigilia dell’ultimo vertice del WTO a Cancun, dove 146 membri del WTO hanno approvato un accordo che, pur riconoscendo il diritto dei paesi più poveri ad importare farmaci generici dai paesi che hanno la capacità di produrli (ma questo diritto era già stato riconosciuto nel 2001) introduce una quantità di limitazioni ed ostacoli che rischiano di rendere l’accordo inutilizzabile.
All’indomani di questo nuovo accordo, firmato il 30 agosto 2003, tutta la stampa nazionale e internazionale, le tv e tutti i media hanno dichiarato trionfalmente che erano stati raggiunti accordi che garantivano farmaci essenziali ai PVS (solo a titolo di esempio gli articoli di La Repubblica; e de Il Corriere della Sera) .
Resta allora da chiedersi perché, a pochi mesi dall’accordo, i muri delle grandi città sono coperti dalla campagna di Medici Senza Frontiere per l’accesso ai farmaci essenziali. Perché la campagna di MSF è tornata alla ribalta se gli accordi garantiscono farmaci per tutti?
La risposta è che la notizia riportata dai media non era corretta.
L’accordo è stato presentato come un grande passo avanti nella tutela della salute e del diritto alla vita dei più poveri, ma in realtà non lo è.
Dal vertice di Cancun ci si aspettava l’introduzione di regole chiare e semplici, che mettessero in condizione i paesi più poveri di tutelare la salute dei propri cittadini, invece questo accordo stabilisce clausole restrittive che rendono difficile il libero scambio dei farmaci. Regole che – accusa MSF – salvaguardano gli interessi delle multinazionali e non la salute delle persone.
Il primo scoglio si chiama burocrazia: i paesi che vorranno esportare e quelli che vorranno importare i generici dovranno chiedere al Wto, di volta in volta, la “licenza obbligatoria”, per ottenere la quale essi dovranno fornire ad un organismo del WTO un’ampia e complessa documentazione. La trafila burocratica avrà ovviamente un costo altissimo, soprattutto in vite umane.
Il secondo scoglio si chiama ambiguità: l’accordo è volutamente ambiguo e questa ambiguità riguarda anche il fatto che deve essere il WTO, di volta in volta e non definitivamente, a decidere se dare o meno la licenza.
L’India – per citare un esempio - può produrre i farmaci generici ed utilizzarli nel proprio Paese, ma l’esportazione verso i paesi più poveri è resa impossibile da complicazioni procedurali atte solo ad ostacolare questo scambio. E così viceversa per i paesi poveri che devono importare.
Infine, l’accordo del 30 agosto scoraggia di fatto la produzione di generici: le industrie che producono copie di qualità dei farmaci di marca vengono fortemente disincentivate. Non solo. Esso lascia irrisolta una grave questione: cosa succederà alla fine del 2005 quando i paesi che oggi ospitano i principali produttori di generici saranno costretti ad applicare i TRIPS integralmente, incluse le norme sui brevetti? Che conseguenze ci saranno sulla possibilità di produrre ed esportare generici?
Nel frattempo gli Stati Uniti cercano di ottenere un certo numero di accordi commerciali regionali o bilaterali che in effetti indebolirebbero e addirittura annullerebbero completamente la Dichiarazione di Doha. Sono in atto infatti delle negoziazioni per rafforzare la protezione dei brevetti in regioni colpite pesantemente dalle malattie.


N.B. l'articolo è un po' datato, aggiungo che all'indomani dell'ultima conferenza di Hong Kong la situazione è rimasta sostanzialmente identica.

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